Presentare un momento pubblico come il Convegno #perchisimescola che si terrà il prossimo 24 maggio al teatro Ghirelli di Salerno significa presentare uno stile, uno sguardo diverso sulle questioni legate alle disabilità mentali; significa, in una parola, adottare l’arte del mescolarsi. A momenti alterni, il dibattito sulla condizione delle persone con disabilità mentale e delle loro famiglie assurge agli onori della cronaca, troppo spesso legata a fatti violenti e a drammi, per poi ritornare nel limbo dell’omertà e della paura. Si perché la disabilità mentale ci spaventa, ci mette in discussione, mina le nostre certezze, dissolve il nostro senso di controllo e razionalità, fa saltare le nostre categorie mentali e sociali. A questo si aggiunge un graduale ma inesorabile arretramento dei servizi territoriali, delle tutele e dei diritti, a discapito delle persone più fragili e di quei processi di integrazione socio-sanitaria di cui tanti parlano ma rispetto ai quali sempre meno si agisce e costruisce. Come conseguenza, e soluzione, una recrudescenza di un generale clima di disciplinamento, controllo, medicalizzazione e patologizzazione in cui proliferano e fermentano stereotipi, stigma, pregiudizi, esclusioni, marginalizzazioni e, come se non bastasse, interessi privati e speculativi di vecchie e nuove forme manicomiali e ghettizzanti. Ma il quadro non è tutto così fosco. Nei sobborghi di sacche sparute di resistente collettività, provano a muoversi realtà di valore che aprono nuovi spazi di inclusione, che costruiscono momenti e luoghi altri in cui la disabilità mentale non spaventa, non necessita di controllo e di marginalizzazione, ma diventa occasione di esperienze di autodeterminazione e riscatto. Capovolti, Fattoria Sociale per la Salute Mentale, vuole essere uno di questi luoghi, aperto alla comunità, dove utenti, familiari, operatori, cittadini, ritrovano e reinventano ogni giorno uno stile nuovo di relazione, di valorizzazione delle risorse personali, di costruzione di una comunità inclusiva e capace di produrre sviluppo, occupazione, benessere. Non siamo i soli, naturalmente, sebbene sappiamo di essere in pochi. Altre realtà con noi e intorno a noi provano con fatica a perseguire gli stessi obiettivi e credono nei nostri stessi valori. #perchisimescola è l’occasione che ci siamo voluti dare per confrontarci con queste altre realtà e per confrontarci anche con un territorio complesso, denso di criticità ma anche di spunti d’eccellenza. Intendiamo partire da quella che è l’esperienza delle fattorie sociali sparse in tutto il territorio nazionale e che sono diventate negli ultimi anni vere e proprie riserve indiane in cui si coltivano, letteralmente e concretamente, frutti di inclusione e di occupazione a vantaggio di soggetti fragili. L’esperienza delle Fattorie del Circeo e della Fattoria Fuori di Zucca sono fiori all’occhiello da cui apprendere strategie e visioni. Strategie e visioni che non possono prescindere da altri due aspetti: da un lato l’urgenza di dare al mondo dell’Agricoltura e dell’Agricoltura Sociale la visibilità che merita; dall’altro ripensare lo stile di intessere reti e alleanze territoriali. Rimettiamo al centro del dibattito, quindi, il tema dell’agricoltura in senso ampio e compiuto, che intercetta le questioni dell’innovazione, della sostenibilità ambientale, della tutela del territorio, del consumo di suolo, dell’occupazione, delle nuove professionalità, della legalità, dell’inclusione sociale, del benessere collettivo. E apriamo contestualmente una riflessione condivisa sulla possibilità di un nuovo stile di alleanze per ripensare l’inclusione sociale delle persone con disabilità mentale. Non possiamo più attendere che le prassi e le procedure arrivino dall’alto, che siano condizionate a progettazioni spesso destinate a fallire o concludersi miseramente vittime delle pieghe di norme e rendicontazioni che diventano più un cappio che una risorsa. Non possiamo più immaginare che le istituzioni, gravate da vincoli e limiti economici e strutturali, svolgano il ruolo di collettore che hanno fin qui provato a svolgere, talvolta con splendidi risultati altre volte con immani disastri. La soluzione che intravedo è iniziare a pensare un welfare dal basso, costruire strategie che partono da quello che abbiamo sotto mano, le nostre risorse e le nostre energie. Le professionalità, le esperienze che militano in uno spazio, quello del terzo settore che, sebbene anch’esso vittima talvolta di rigidità e ruggini ataviche, continua a produrre esperienze di senso, nuovi slanci e nuove motivazioni. Un welfare dal basso significa anche limitare individualismi, protagonismi, formule convenzionali, dinamiche di forza e di equilibri politici e clientelari per ri-trovare il senso del mettere insieme, mettere in comune, che mi pare essere l’unica via che guarda al futuro. Di cui il titolo, #perchisimescola, che traccia una traiettoria e una prospettiva: mescolarsi, per noi, significa sporcarci le mani, mettere sul tavolo risorse, guardare a ciò che ciascuno ha da dare e non ai limiti che pure ciascuno ha, immaginare momenti e spazi di ri-appropriazione del proprio itinerario di vita e dell’esperienza dello stare insieme dentro una comunità. Un’occupazione operosa e silenziosa che rosicchia terreno al disfattismo, alla burocrazia, al vincolo economico, alle strategie di potere, al controllo delle nostre stesse vite, all’esclusione del diverso e del fragile, all’illegalità, al lavoro nero, alla precarietà come luogo di schiavitù. Mescolarsi significa anche immaginare una trasversalità delle alleanze, una originalità delle prassi e delle strategie, una creatività per rimettere in circolo risorse e generare inclusione, innovazione, benessere. Mescolarsi significa fare impresa, quella vera e quella sana, che ha partire dalle risorse prova a mettere in moto opportunità, che dalle fragilità prova ad accompagnare un territorio verso una prospettiva di uguaglianza e tutele, che dal rischio prova a sviluppare nuove forme di emancipazione e autodeterminazione. Mescolarsi significa andare oltre la logica differenziale della vita stessa, oltre la cesura tra vite che meritano attenzione e vite che non ne meritano; mescolarsi significa dare un senso ampio alla costruzione di una vita buona. Non deve dunque spaventarci il mescolare le nostre esperienze, le nostre vite, i nostri percorsi. Come non deve spaventarci il mescolare linguaggi e formule – impresa, sociale, welfare, istituzioni, cooperazione, alleanze, sviluppo, lavoro, innovazione, comunità, fragilità, sono tutte parole che possono, e a questo punto devo, stare insieme. Ri-partire dal basso significa proprio questo: ri-partire da noi, dal nostro viverci dentro una collettività che diventa tanto più soggettività quanto più è realizzata dentro il senso del comune, cioè dell’evidenza che tutto e parte di noi stessi, che le relazioni che costruiamo possono migliorare il nostro so-stare dentro la comunità, che escludere qualcuno significa escludere una parte di noi stessi, escludere risorse, depauperare di senso e di opportunità il nostro stare insieme. Più che un convegno, #perchisimescola, vuole essere dunque uno spazio altro, con regole altre, per intessere una nuova trama per l’inclusione sociale di persone con disabilità mentale, per ri-mettere al centro risorse e bisogni delle famiglie e degli utenti, per ri-pensare prassi e strategie condivise, per re-inventare una comunità che ri-parte da se stessa e ri-costruisce il proprio destino di sviluppo e crescita. Mi piace dedicare questo primo momento pubblico a Francesco Mastrogiovanni, l’insegnante morto in un reparto di psichiatria, legato ad un letto per 82 ore, dopo un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Non è una dedica che emette un giudizio, ma vuole essere un’occasione per ricordare e per ribadire che noi la pensiamo in un altro modo. Francesco Napoli - Direttore Progetto Capovolti
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
News
Tutti
Archivio
Maggio 2024
|