CAPOVOLTI: UNA COMUNITA’ IN CAMMINO TRA STORIE, RELAZIONI, SFIDE ED OPPORTUNITA’ di Francesco Napoli Presidente Cooperativa CAPOVOLTI | Quando abbiamo pensato progetto capovolti abbiamo deciso di raccogliere più di una sfida: quella di progettare una start-up di impresa aderendo ad un bando che sapevamo essere decisamente complesso in termini di richieste di sostenibilità ed investimento privato; affrontare un ambito di intervento non solo nuovo per noi tutte e tutti, ma anche ancora poco esplorato e poco valorizzato nei nostri contesti ad esclusione di alcune storiche esperienze che pure vivevano difficoltà. Ma la sfida più grande era quella di cambiare il paradigma di riferimento che era oramai consolidato nelle famiglie, nei beneficiari e nei servizi, di un welfare sostanziato dall’assistenzialismo, dal vincolo sociale e dall’intervento sanitario massiccio e pervasivo. In buona sostanza un sistema, che non è cambiato molto, di dipendenza quando non di vera e propria schiavitù morale. |
Sapevamo che ci saremmo dovuti confrontare con prassi consolidate, soggetti territoriali molto più esperti di noi, con una visione culturale dell’agricoltura antiquata, tradizionale e svalutata. Sapevamo di correre il rischio di mettere insieme l’agricoltura come diminutio e le fragilità con il portato di stigma con il concreto risultato di generare una doppia discriminazione su base pietistica, paternalistica, escludente, marginalizzante. Tutto questo in un territorio apatico, asfittico, con problematiche oggettive di mobilità, servizi alle imprese, scarsità di competenze e professionalità, prassi del lavoro decisamente alternative per non dire di peggio e, come se non bastasse, in anni di piena crisi economica. |
Abbiamo quindi costruito una progettazione su tre assi:
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Trovare casa non è stato facile, così come non è stato facile dialogare e tenere unita una rete di partenariato ampia e complesse, talvolta orientata in alcune sue componenti ad una visione della progettazione sociale facilona quando non individualistica, autoreferenziale. La selezione naturale, in questo caso, ha fatto il suo corso. Mentre abbiamo invece avuto ed incontrato compagne e compagni di strada di grande valore, professionalità ed abnegazione dai quali abbiamo potuto imparare molto e che molto hanno dato e continuano a dare alla nostra grande famiglia.
Si, perché il nostro obiettivo è sempre stato quello di pensare capovolti come una famiglia, dove tutto accade e dove tutto si vive insieme, nei momenti più felici ed in quelli più complicati. Dove nei momenti di festa e nei momenti di sofferenza pensiamo sia sempre importante esserci tutte e tutti.
In questo spirito abbiamo condiviso la prima fase di progetto, la costruzione degli strumenti operativi, la formazione degli operatori, la costruzione di prassi e di inquadramento aziendale.
Abbiamo ridato vita all’oliveto aziendale, qualificandoci oggi come azienda agricola biologica ed avendo ottenuto la certificazione DOP del nostro territorio per l’olio extravergine che esportiamo in tutta Italia ed in molti paesi d’Europa.
La nascita della cooperativa nel 2014 ha segnato un ulteriore punto di svolta del progetto. Nuove sfide, nuove esigenze, nuove prospettive. |
Abbiamo scelto quindi di realizzare una Casa Alloggio per l’accoglienza in regime di residenzialità di persone con disabilità mentale, coniugando questo servizio alle attività che erano già in corso di consolidamento. All’apertura di Casa Nadia è seguita quella del Centro Diurno Polifunzionale che oggi completa il quadro dei servizi offerti presso la sede operativa di Montecorvino Pugliano chiudendo un cerchio che consente ai nostri beneficiari di usufruire di un servizio di accoglienza, riabilitazione, accompagnamento psicologico, orientamento al lavoro, percorsi di professionalizzazione ed inserimento lavorativo mentre ha consentito di stabilizzare e garantire il lavoro ai nostri dipendenti, socie e soci. La scelta di coniugare servizi e impresa ha consentito all’azienda di crescere e poter implementare il proprio fatturato ed ampliare i servizi offerti sull’area dell’inserimento formativo ed occupazionale il che, in una circolarità di strategia, ha consentito ai servizi di qualificarsi come eccellenze sul territorio anche grazie alla valorizzazione offerta dalla sperimentazione e dal consolidamento del modello OrtoQuadrato oramai riconosciuto e premiato in numerose circostanze, non ultimo il Premio Yves Rocher che ci ha consentito di attivare il primo corso di formazione per operatori OrtoQuadrato. Così come abbiamo implementato ed innovato il tema degli interventi assistiti con animali, in un territorio in cui pet therapy significa ancora troppo spesso il giro a cavallo, accarezzare l’asino o fare zampa con il cane. Abbiamo attivato momenti di formazione in materia di zooantropologia didattica, sperimentando noi per primi il valore immenso della relazione con l’alterità animale. |
Sappiamo che per chi ci osserva siamo una storia di successo, di eccellenza, di novità. Lo siamo anche per noi stessi e ne siamo orgogliosi. Rimaniamo tuttavia umili e concentrati, consapevoli che è solo l’inizio di una strada complessa. La sempre maggiore scarsità delle risorse economiche, l’arretramento e l’inefficacia del servizio pubblico, scelte che orientano le risorse verso l’assistenzialismo piuttosto che verso l’autodeterminazione, l’impossibilità ancora oggi a pervenire a strumenti efficaci di accompagnamento socio sanitario adeguati alle persone con disabilità mentale, penso alla colpevole assenza del budget di salute su questo territorio, ci fanno pensare che la strada è davvero ancora lunga. |
La funzione politica della cooperazione è e deve essere un valore ed un obiettivo prioritario per tutte e tutti noi, soprattutto in tempi bui come quelli che stiamo attraversando. In tempi di odio, divisioni, fratture e cesure sociali, la cooperazione è oggetto e bersaglio di chi vuole distruggere quel che resta del dissenso, dei corpi intermedi, dei soggetti di tutela collettiva, di chi è voce di quanti non hanno strumenti per poterla alzare quella voce e non essere schiavi e vittime di sistemi di prepotenza quando non di marginalizzazione, di ciò che si frappone all’arroganza del potere e della norma in luogo di una umanità e di una civiltà del riconoscimento dell’altro che è un valore non negoziabile. Dobbiamo continuare a sentire il dovere della politica, ai tavoli di concertazione, ai tavoli regionali e nazionali, nei luoghi in cui è possibile incidere. |
In questo senso penso alle sfide che attendono l’Agricoltura Sociale sul piano regionale e nazionale. Rischiamo un ruolo ancillare, di essere il fiore all’occhiello del profitto, la medaglia al valore di chi specula, la pezza a colore di chi non sa fare il proprio mestiere. Con tanto di assistenzialismo finanziario con buona pace dei fondi europei per lo sviluppo. Dobbiamo preservare e riaffermare il protagonismo, la specificità, il valore aggiunto che ha avuto ed ha l’Agricoltura Sociale per la propria storia e per la propria attualità. |
Dobbiamo dunque prenderci, con responsabilità, senza lamenti e vittimismi, il ruolo di protagonismo che ci spetta, nel dialogo con la politica e con i territori; dobbiamo prenderci il ruolo educativo e culturale che spetta alla cooperazione ed alla agricoltura sociale. Dobbiamo pretendere rispetto ed ascolto per quello che facciamo, e dobbiamo farlo bene, per quello che produciamo, creiamo, implementiamo ed innoviamo ciascuno nelle proprie comunità. |
Il ruolo del Forum Regionale e del Forum Nazionale può allora essere quello di una guida e di una presenza autorevole sul piano politico, della visibilità e della contrattazione, della proposta e della tutela di quanto acquisito fino ad oggi. Ma nostro ruolo deve poter essere anche quello di sviluppare percorsi di formazione e crescita delle nostre cooperative, come già sta accadendo, implementando percorsi, occasioni e fornendo strumenti ed opportunità di valorizzazione e professionalizzazione.
Così come è nostra responsabilità e può essere un importante contributo del Forum Nazionale dell’Agricoltura Sociale, aprirci all’Europa, come visione e come strategia, per innovare i nostri paradigmi culturali, politici ed operativi come pure per cogliere le opportunità che l’Unione ci offre. |
Un percorso, quello di progetto Capovolti, che idealmente oggi si chiude, con un po’ di malinconia e di emotività come quando finisce un ciclo di scuola, come quando ti separi da qualcosa di bello e che è stato davvero importante per te.
Ma, se Progetto Capovolti si conclude con successo è perché ha generato una comunità di persone che fino ad oggi ha accolto oltre cento beneficiari ed i loro familiari, offendo negli ultimi tre anni oltre 15 contratti di lavoro a persone con fragilità. Progetto Capovolti continua nell’esperienza della nostra Cooperativa, dei servizi e delle iniziative che stiamo continuando costantemente a sviluppare e che continueremo a far crescere insieme a ciascuno di voi.
Abbiamo imparato a confrontarci con l’agricoltura ed i suoi tempi, io in particolar modo. Dell’attesa, della speranza, del senso di vulnerabilità ed impossibilità a cui ti obbliga l’agricoltura ne ho vissuto la frustrazione prima e la bellezza poi, potendo riconoscere che aspettare non è perdere tempo, che passeggiare tra gli olivi osservandone la maturazione e la crescita nell’attesa del frutto può non essere frustrante, ma può invece diventare un modo di immaginare il futuro. Questo mi fa guardare oggi con maggiore indulgenza, pazienza ed un sorriso, ai tempi ed agli arrovelli della nostra burocrazia, spesso immotivati ed inutili quando non dannosamente frutto di inadempienze ed incompetenze. Come ho imparato ad apprezzare il silenzio, il mio soprattutto, e ad auspicare talvolta quello altrui. Sono indubbiamente cresciuto molto come persona e come professionista. Ho visto in faccia la sofferenza, il dolore, la morte. Consentitemi un pensiero per Alberto, che ha scelto di essere libero in un modo che avremmo preferito differente. Ma ho visto anche il riscatto, la soddisfazione di rialzarsi, la gioia di trovare comprensione ed accoglienza, riconoscimento e non pietismo, dialogo, sprone e non contenzione. Ho visto quel bagliore negli occhi che nasce dalla novità, dall’incontro con se stessi che migliora la propria vita, dal trovare soluzioni da soli e non imposte, indotte, obbligate. Ho visto e vissuto con ciascuno dei nostri beneficiari la possibilità del fallimento come quella di rialzarsi e ripartire, di vivere con dignità ed autodeterminazione dentro la propria fragilità ed oltre il proprio stigma interiorizzato. Ho vissuto abbracci e pianti di liberazione e saluti densi di nuova vita davanti. Ho accolto ed accudito le mie compagne ed i miei compagni di viaggio, così come sono stato accolto ed accudito io per primo. Se il sogno, all’inizio di questa avventura, era una comunità a misura di ciascuno ne siamo ancora lontani, ma noi siamo certamente un buon primo passo verso questo obiettivo. |